MARTYRS

Francia/Canada - 2008 - 97 min
Genere: drammatico, horror, torture porn
Regia: Pascal Laugier
Soggetto: Pascal Laugier
Sceneggiatura: Pascal Laugier
Produttore: Richard Grandpierre, Simon Trottier
Interpreti:
Morjana Alaoui: Anna
Mylène Jampanoï: Lucie
Catherine Bégin: Mademoiselle
Robert Toupin: il padre
Patricia Tulasne: la madre
Isabelle Chasse: la creatura
Fotografia: Stéphane Martin, Nathalie Moliavko-Visotzky
Montaggio: Sébastien Prangère
Effetti speciali: Carmelle Beaudoin, Jacques Godbout
Musiche: Alex Cortés, Willie Cortés


Lucie, una ragazzina poco più che bambina corre via urlando da un edificio abbandonato visibilmente scossa, sporca, insanguinata, denutrita, vittima di chissà quale abuso. Segue un finto reportage sul suo ritrovamento e le immagini dell’istituto dove si tenta di riabilitarla, e dove conosce Anna, sua coetanea che l’accompagnerà nella crescita, la cui vicinanza l’aiuterà a riportare sprazzi di normalità nella sua vita. Quindici anni dopo, una tranquilla famiglia borghese sta facendo colazione nella propria villetta, quand’ecco suonare la porta. Si ripresenta la nostra ragazzina ormai cresciuta, con un fucile in mano e che senza dire niente fa secco il capofamiglia e dopo essersi accanita sugli altri componenti impreca contro i cadaveri, maledicendoli per averla tenuta in ostaggio e torturata.
Inizia così “Martyrs”, film scandalo del 2009. Apparentemente dalle prime scene sembra di assistere all’ennesima e inutile riproposizione del horror claustrofobico (genere detto anche torture porn) che da i vari “Saw”, “Hostel”, e “Le colline hanno gli occhi”, ha fatto proseliti inadeguati allo spessore dei loro predecessori. Ma è appunto un’impressione. Il regista Pascal Laugier, già autore del ghost horror “Saint Ange” ci presenta questo bellissimo e perturbante film: “Martyrs” è un film sul senso di colpa impossibile da rimuovere, che attanaglia, che fa riversare i propri incubi nella realtà e che la rende violenta e vendicativa. Riprese convulse, un montaggio rapidissimo alternato a scene lente e infinite, che da i tempi e il ritmo al cuore palpitante dello spettatore facilmente conquistato subito dopo il titolo; un thriller psicologico, malato, in cui la violenza (a differenza di come è stato etichettato e stroncato prepotentemente dalla critica ufficiale) non è mai gratuita; non è così negli occhi di Lucie, nella sua mente vendicativa turbata dall’onta di non aver salvato una donna condannata anche essa al martirio, mente che trova una via di fuga solo quando si relaziona con la sua fedele amica/amante (che non la abbandona, che non la giudica neanche quando si infligge sul proprio corpo i segni della tortura). Ma “Martyrs” sono anche (e soprattutto) i martiri, coloro che sfruttano la propria sofferenza, il proprio dolore per andare oltre, superare il supplizio, per trascendere la propria corporeità, come chiarisce la donna a capo dell’organizzazione di carnefici, che ha appunto come scopo il raggiungimento la trascendenza fisica: “Rinchiudete qualcuno in una stanza buia, comincia a soffrire, nutrite questa sofferenza in maniera metodica, sistematica e fredda e che duri a lungo. Il vostro soggetto passa attraverso stati multipli: dopo del tempo il suo trauma, questa piccola fessura così facile da procurare gli fa vedere cose che non esistono proprio”. E ancora: “La gente non ha più intenzione di soffrire. Il mondo è fatto a questo modo. Ci sono soltanto vittime, i martiri sono molto rari. Un martire è un essere eccezionale sopravvive alla sofferenza, alla privazione di tutto, lo si carica dei mali della terra e si abbandona, trascende”. Le immagini poco sature e fredde degli ambienti bianchi e asettici che di colpo si riscaldano e si ravvivano col sangue, la resa visiva della sofferenza, come dell’estasi, nei volti delle due bravissime attrici, la rappresentazione dei contrasti che animano la vita umana, e molte scene che sono chicche per gli amanti del genere (e del cinema intero), fanno di “Martyrs”, un film geniale sia nei temi che nella realizzazione.



"Martyrs" trailer

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