VIDEOCRACY


Svezia – 2009 – 85 minuti

Genere: Documentario

Regia: Erik Gandini

Produttore esecutivo: Kristina Åberg

Distribuzione: Fandango

Interpreti

Silvio Berlusconi: se stesso

Lele Mora: se stesso

Fabrizio Corona: se stesso

Flavio Briatore: se stesso

Riccardo Canevali: se stesso

Fotografia: Manuel Alberto Claro, Lukas Eisenhauer

Montaggio: Johan Söderberg

Musiche: David Österberg, Johan Söderberg

Esce dunque nelle sale il tanto discusso “Videocracy” del regista italo svedese Erik Gandini, dopo tutte le polemiche sorte a seguito della mancata promozione del film sulle reti Mediaset (si poteva immaginarlo), ma soprattutto sulla Rai che ha addotto assurde scusanti al distributore Procacci della Fandango film. Sull'onda della diatriba che si è aperta, anche e soprattutto tra le (forze) politiche, e visti i recenti scandali, ecco che il film ha ricevuto una grandissima pubblicità (in)volontaria che gli sta portando un grande successo nelle poche sale italiane che lo proiettano. E noi curiosi chissà cosa ci aspettavamo.

L'onesta premessa alla visione di questo documentario sarebbe dovuta essere: “Italiani di buon senso, ciò che vi verrà mostrato non dovrebbe essere una novità per voi: questo documentario è rivolto soprattutto a un pubblico europeo”. Infatti il documentario non presenta nulla di nuovo, niente che non sia già risaputo e visto, né a livello di forma, né di contenuti, né di scoop: se non foqualche inedita e inquietante ripresa dell'impresario dei Vip Lele Mora che nella sua camera completamente bianca e candida come il suo sorriso inebedito, si dichiara un “mussoliniano” convinto, e con orgoglio fa suonare dal suo cellulare “Faccetta nera”. L'elemento più fastidioso di questo documentario piuttosto banale, è la presenza di un ingenuo ragazzo che sogna di far carriera in Tv, il famoso “caso umano” che ha fatto il successo delle televisione commerciale con vari Maurizio Costanzo Show e simili, proprio quelli con cui ce l'ha Gandini, che però dimostra di non disdegnare a ricorrere ai mezzi del nemico. Si, perchè il “caso umano”, ci viene presentato con patetici primi piani in cui il suo sguardo a metà fra l'illusione e la convinzione che un giorno riuscirà nel suo intento, si mette a nudo davanti la calda e accogliente telecamera del documentarista, che sempre per una questione di integrità morale, lo fa esibire in avvilenti dimostrazioni di come sia un bravo karateka e al contempo sia bravo ad imitare Ricky Martin (“perchè Martin non sa cosa sia il karate, e Van Damme non sa cantare e ballare la musica latinoamericana”). A livello formale il documentario vorrebbe portare avanti la tesi (condividibilissima) su come la televisione, e in particolar modo quella commerciale, abbia modificato la società italiana, in poche parole di come la mostrazione pubblica sia diventata la più facile forma per accaparrarsi una fetta sempre più grande di potere: teoria sintetizzata dalla sentenza di Mora “popolare diventa chiunque: basta apparire”. E Gandini lo fa proponendo come intestatari di questa dottrina, Berlusconi, proprio colui che ha dato inizio alla Tv commerciale, il Presidente, come lo chiama lui e oramai tutta Italia, a cui affianca Corona indicando una continuità sicuramente ideologica fra i due, sottolineata da angoscianti sovrimpressioni dei due. Ma la carne che mette sulla brace è esposta con confusione, di certo non supportata da un montaggio all'altezza di una produzione importante, sebbene, ripeto, il discorso a cui miri è facilmente intuibile. Consiglio il documentario a tutti gli abitanti di Trinidad e Tobago, che forse sono gli unici nel mondo a non sapere in che acque paludose naviga la società italiana (di cui la politica e la televisione sono lo specchio e viceversa); ma lo raccomando anche a tutti coloro che avevano bisogno che un giornale (che fa solo ed esclusivamente i propri interessi economici) gli dicesse che il Presidente del Consiglio, anzi il Presidente, va a puttane, riusciendoli addirittura a scandalizzare, risvegliando e forgiando le annebbiate coscienze, quando per tutte le malefatte politiche erano tutti rimasti in silenzio.


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